Nell’epoca della pandemia di COVID-19 e della morsa nella quale sono compressi i sistemi economici e sanitari mondiali nell’affrontare le conseguenze, spesso drammatiche per le popolazioni, ci sono paesi e interi continenti che, oltre al rischio contagio, convivono con guerre, conflitti interni, disastri naturali ed ogni altra condizione che comporti un’emergenza umanitaria per migliaia o spesso milioni di persone. È il caso dell’Africa, e della Repubblica Democratica del Congo nello specifico.

 

 

Il passato coloniale della Repubblica Democratica del Congo è ancora fortemente presente nel sistema economico, politico e sociale del paese. Nonostante siano trascorsi molti anni dall’anno della dichiarazione di indipendenza nel 1960, in Repubblica Democratica del Congo persiste lo sfruttamento di materie prime minerarie quasi integralmente destinate all’esportazione. Uno dei problemi di base del paese è l’assenza di liquidità, alla quale consegue una radicata difficoltà economica per una popolazione con reddito pro-capite tra i più bassi al mondo. 

 

Questo precario quadro economico è ulteriormente aggravato dai continui conflitti interni, motore di scontri a fuoco, violenze e rapimenti in diverse aree del Paese. Gli ultimi attacchi, avvenuti per mano di gruppi armati rivali, si sono verificati nel mese di settembre e nei primi giorni di ottobre, in particolar modo nella regione del Nord Kivu e di Ituri, zone a nord-est del Paese. Più di 50.000 persone sono fuggite a seguito dei combattimenti. Sono sfollate nel proprio paese: donne, uomini ma soprattutto tantissimi bambini, tra cui molti non accompagnati da un genitore o da un tutore.  

 

Secondo l’OCHA, nella regione del Nord Kivu ci sono attualmente 1.800.513 sfollati. Il Sud Kivu, invece, ha registrato nel primo trimestre del 2020 già 177.765 persone senza più una casa e in perenne fuga dai propri villaggi. Anche nella provincia di Ituri i numeri continuano a crescere, arrivando a raggiungere la cifra di 1.603.343 sfollati interni. Questi sono territori dove le ostilità non si sono mai placate, dove la popolazione vive in una condizione di costante rischio sicurezza e povertà. Gli ultimi dati risalenti al 2019 riportano cifre inimmaginabili; 12,8 milioni di persone si trovano in uno stato di bisogno umanitario, 1,3 milioni di bambini sotto i cinque anni soffrono di malnutrizione acuta o grave.

 

Proteggere queste persone in un contesto simile è un’impresa sempre più complessa e pericolosa. I casi di violenza e reati si susseguono ripetutamente; rapimenti, omicidi, attacchi a villaggi, stupri di massa e reclutamento di bambini da addestrare militarmente. Questi abusi creano movimenti di popolazione in tutti i territori circostanti, una massa di gente che si sposta senza una meta precisa, senza poter mai tornare indietro. In queste aree INTERSOS svolge un ruolo cruciale sul monitoraggio dei casi di violenza o di persone fuggite dalle proprie case dopo aver subito attacchi nei villaggi. Quando si scrive la parola violenza si intende una violazione non solo fisica ma anche psicologica della persona umana. Donne che hanno subito abusi e stupri, minori reclutati come combattenti, aggressioni di vario genere e perenne fuga dal pericolo. Ognuna di queste violazioni determina traumi inopinabili.

 

Ogni territorio ha una sua storia e una sua cronaca quotidiana di instabilità interne; a Kabambare, nell’est del Paese, gruppi armati controllano intere località, costringendo le persone a pagare tasse e contributi. La provincia di Ituri sta affrontando una complessa crisi umanitaria legata al persistente conflitto tra i gruppi armati nazionali e stranieri. Anche la situazione umanitaria nella regione di Djugu è particolarmente grave, costringendo spesso gli attori umanitari presenti a sospendere le attività a causa del pericolo circostante e del graduale deterioramento del sistema di sicurezza. La stesse identiche parole potrebbero essere utilizzate per descrivere il contesto nel quale vive il popolo del Nord Kivu e del Sud Kivu. In tutta l’area ad est e nord-est della Repubblica Democratica del Congo i miliziani continuano a compiere attacchi e violazioni dei diritti contro i civili.

 

Gli operatori umanitari di INTERSOS si occupano di identificare i bisogni di queste persone, che vanno da ripari di emergenza per i migliaia di sfollati a generi alimentari e denaro, ancora più urgenti per le persone in movimento che non possono beneficiare dei prodotti coltivati nei campi dei loro villaggi dai quali sono scappati o che, per motivi di sicurezza, non hanno accesso alle loro piantagioni dove spesso si aggirano le milizie in attacco. Le donne e i bambini subiscono le conseguenze peggiori, violenze fisiche, il più delle volte sessuali. INTERSOS ha registrato numeri spaventosi: da gennaio a settembre 2020 sono stati documentati 716 episodi di violenza di genere nella provincia di Ituri. Nel Sud Kivu, nel settembre 2020, il numero di casi registrati è 920, di cui 475 sono casi di stupro. Per il Nord Kivu risultano invece, al 30 settembre 2020, 957 casi di violenza di genere e 667 di stupro. 

 

Questi dati mostrano che la violenza sessuale nell’est della Repubblica Democratica del Congo è in netto aumento, soprattutto i casi di stupro. Nonostante l’emergenza sanitaria mondiale legata alla diffusione del COVID-19, questo tipo di violazione della dignità umana continua a crescere e a verificarsi sempre con maggior frequenza.