INTERSOS insieme alla piattaforma PONAH, con il supporto dell’Unione Europea, ha riunito, il 19 giugno, a Bamako, le organizzazioni della società civile, i partner internazionali, i donatori e i media in una conferenza voluta, nell’ambito del progetto PARTAGE, per promuovere una gestione più equa dei rischi di sicurezza nell’azione umanitaria e mettere in evidenza le buone pratiche.

 

Il Sahel Centrale sta affrontando una persistente crisi umanitaria e di sicurezza, che colpisce direttamente gli attori locali coinvolti nella risposta umanitaria. Le organizzazioni della società civile (OSC) a livello nazionale e comunitario operano in contesti particolarmente instabili e complessi, confrontandosi con gravi minacce alla loro sicurezza, spesso senza risorse sufficienti o meccanismi adeguati di gestione del rischio. La disinformazione, che Insecurity Insight definisce come l’effetto che si ha quando “gli utenti diffondono consapevolmente e deliberatamente false affermazioni”, intensifica la loro vulnerabilità favorendo narrazioni ostili e restringendo il loro spazio operativo.

Per affrontare queste sfide, INTERSOS e PONAH, con il supporto dell’Unione Europea, hanno riunito le organizzazioni della società civile, i partner internazionali, i donatori e i media in una conferenza nazionale tenutasi a Bamako il 19 giugno 2025, nell’ambito del progetto PARTAGE. L’obiettivo è stato quello di promuovere una gestione più equa dei rischi di sicurezza nell’azione umanitaria e mettere in evidenza le buone pratiche.

Le discussioni sono state strutturate attorno a due tavole rotonde. La prima, intitolata “La società civile in prima linea”, ha fatto luce sulle sfide della gestione del rischio, sugli ostacoli affrontati, nonché sulle buone pratiche e i messaggi chiave condivisi dagli attori locali. La seconda, “Verso una gestione più equa dei rischi di sicurezza”, ha facilitato il dialogo tra le parti interessate sugli impegni e le priorità necessarie per una migliore distribuzione delle responsabilità e per l’utilizzo di pratiche più efficienti di gestione del rischio. Le principali osservazioni, lezioni apprese e raccomandazioni sono riassunte di seguito.

 

Le OSC esposte a uno squilibrio persistente

Le testimonianze raccolte durante la conferenza hanno evidenziato un significativo squilibrio: le OSC sopportano una quota sproporzionata dei rischi di sicurezza senza ricevere supporto, risorse o meccanismi di protezione equivalenti rispetto alle ONG internazionali. Il CAEB (Conseils et Appui pour l’Education à la Base) ha in particolare affrontato le difficoltà legate all’instabilità e alla mancanza di servizi tecnici, specialmente l’assistenza sanitaria. FEDE (Femmes et Développement) ha anche sottolineato i rischi specifici affrontati dalle donne, citando minacce dirette basate sul genere e “il peso emotivo sui [loro] team che sono permanentemente sul campo, esercitando uno sforzo tremendo, eppure senza meccanismi di supporto psicologico per questo personale”. Questi risultati rafforzano la necessità di una genuina condivisione delle responsabilità e di un’azione di advocacy per iniziative strutturali come il progetto PARTAGE.

 

Disinformazione: un moltiplicatore di rischio sottovalutato

Le analisi di Insecurity Insight, supportate da testimonianze di ONG locali, mostrano che la disinformazione e la misinformazione che circondano l’azione e le organizzazioni umanitarie intensificano i rischi per la sicurezza. Aumenta l’invisibilità degli sforzi delle organizzazioni locali, alimenta la sfiducia della popolazione e può persino portare a false accuse. Come ha ricordato Christina Wille di Insecurity Insight ai partecipanti, “le immagini sui social media possono creare rischi reali per la sicurezza”. In risposta a queste minacce, è imperativo rafforzare il monitoraggio delle comunicazioni sui social media locali e altre piattaforme mediatiche, parallelamente ai meccanismi di protezione per lo spazio umanitario.

 

Verso una migliore coordinazione e il riconoscimento degli attori locali

Alla luce di questi rischi, promuovere una collaborazione multi-attore e multilivello basata su relazioni solide — sia verticali (tra donatori, autorità e OSC) che orizzontali (tra organizzazioni locali, comunità e partner tecnici) — è essenziale. Un tale approccio stabilirebbe un quadro chiaro per la condivisione delle responsabilità, migliorando la protezione degli attori locali e l’efficacia delle risposte umanitarie. Come sottolineato da ECHO, questa collaborazione deve basarsi su partnership eque e strategiche fin dalla fase di progettazione: “ci stiamo muovendo verso partnership eque; siamo a favore di ONG nazionali che sono in partnership”.

Gli attori locali non dovrebbero essere visti solo come subappaltatori all’interno di quadri operativi, ma come partner strategici con profonda conoscenza contestuale, che contribuiscono allo sviluppo del progetto fin dall’inizio. Questa necessità è stata ampiamente sottolineata durante la conferenza. OCHA, ad esempio, ha sottolineato l’importanza di rafforzare la coordinazione con piattaforme locali come PONAH e di meglio integrare le voci locali negli spazi decisionali umanitari. Insecurity Insight ha anche raccomandato alle organizzazioni locali di “assumere la leadership nella comunicazione”. Infine, FEDE ha illustrato il proprio valore aggiunto evidenziando la sua capacità di identificare le esigenze di sicurezza locali, in particolare per donne e bambini.

 

La necessità di un supporto sostenibile e strutturato

Le discussioni hanno evidenziato l’importanza di un supporto a lungo termine radicato nella sostenibilità dell’azione: formazione seguita da mentoring post-formazione, spazi di apprendimento tra pari e lo sviluppo di coach per guidare le organizzazioni nei loro processi di gestione del rischio. Anche il finanziamento di progetti dedicati alla gestione dei rischi per la sicurezza è fondamentale per ridurre gli squilibri tra attori locali e internazionali, come sottolineato da INSO. Iniziative come la mappatura delle risorse di sicurezza condotta dal GISF potrebbero anche rafforzare l’autonomia delle OSC. A questo proposito, CAEB e Bioforce hanno sottolineato l’importanza di meccanismi di supporto sostenuti, inclusa l’assistenza psicologica e l’analisi della sicurezza, come notato da AMSODE.

 

L’advocacy come strumento di trasformazione

L’advocacy è emersa come uno strumento centrale per combattere l’invisibilità degli attori locali nei discorsi e nei meccanismi di finanziamento umanitario. Contribuisce anche a costruire una forte voce collettiva, in particolare attraverso il supporto di piattaforme nazionali come PONAH.

Per quanto riguarda le sfide di sicurezza, l’advocacy aiuta a riconoscere la maggiore esposizione al rischio delle organizzazioni locali. Facilita un maggiore impegno dei partner internazionali per una più equa condivisione delle responsabilità e una migliore integrazione della sicurezza degli attori locali nelle strategie di aiuto.

In merito alla disinformazione e alla misinformazione, l’advocacy contribuisce a ripristinare i fatti, rafforzando la legittimità degli attori locali e mettendo in evidenza i loro significativi contributi. Come ha affermato Insecurity Insight, in un contesto in cui le false informazioni minacciano lo spazio umanitario, è necessaria una risposta collettiva, strutturata e basata sui fatti. L’advocacy appare quindi come una leva strategica per correggere narrazioni errate e difendere l’integrità dell’azione umanitaria.

 

Conclusione

La conferenza ha ribadito l’urgente necessità di una genuina condivisione dei rischi e di un supporto sostenibile per le organizzazioni locali. Il progetto PARTAGE, finanziato dall’UE, dimostra che il supporto collaborativo può rafforzare la sicurezza, la visibilità e la legittimità degli attori in prima linea. Rappresenta un passo avanti verso un’azione umanitaria più equa, inclusiva e sostenibile nel Sahel Centrale.