A violenza e povertà, si aggiunge anche il terremoto. Servono supporto psicologico e protezione. Ma è arrivato solo il 5 percento dei fondi necessari

 

 

A dodici anni dall’inizio della crisi in Siria, le prospettive per il Paese sembrano tutt’altro che rosee. Dei 4.8 miliardi di dollari che servirebbero per rispondere ai bisogni della popolazione, ne sono arrivati solo 258 milioni. Il 5 percento. Abbiamo chiesto a Martin Rosselot, Direttore regionale per il Medio Oriente, quali sono i bisogni maggiori e come sarà organizzato l’intervento di INTERSOS sul lungo periodo.

 

Martin, quali sono le conseguenze di dodici anni di conflitto in Siria?

 

In primis, che dopo dodici anni la Siria è ancora un Paese diviso. Suddiviso in aree controllate da diverse forze, dal Governo Siriano alle Forze Siriane Democratiche, a una serie di gruppi armati più o meno vicini alla Turchia. Col risultato di milioni di persone in fuga, all’interno del Paese e fuori. Si parla di più di cinque milioni di rifugiati e quasi sette milioni di sfollati (UNHCR), e questo fa sì che manchino molti professionisti, negli ospedali, tra gli insegnanti, e che i servizi di base siano drasticamente ridotti. Centri di salute e scuole sono andati distrutti, e anche se molte organizzazioni garantiscono assistenza umanitaria, non è certo sufficiente per ricostruire tutto quello che manca. Con tutti questi sfollamenti, la gente ha perso beni e proprietà, e insieme la capacità di autosostentarsi.

A peggiorare la situazione c’è poi la crisi economica: la Siria è sottoposta a sanzioni e gli investimenti sono molto scarsi. Con una popolazione di 22.1 milioni di abitanti, la Siria conta 15.3 milioni di persone bisognose di assistenza umanitaria nel 2023 (HNO 2023), con un aumento di 0.7 milioni di persone rispetto al 2022. La povertà in generale è aumentata, portando a fenomeni pericolosi come ad esempio il lavoro minorile, e aumentando direttamente l’insicurezza alimentare e la malnutrizione. E poi, nel Nord est e nel Nord ovest del Paese, il colera continua a diffondersi. Col freddo i casi sono diminuiti, ma saliranno certamente con l’arrivo della primavera e dell’estate. Un’altra conseguenza del conflitto è l’altissimo numero di persone con disabilità, che in Siria è molto più alto della media globale (15%). Per questo abbiamo ampliato e adattato i nostri programmi con diverse attività di risposta ai loro bisogni. A tutto questo si è aggiunto il terremoto del 6 febbraio.

 

Che impatto ha avuto il terremoto sulla popolazione già stremata dal conflitto?

 

Oltre a distruggere città e villaggi, il terremoto ha soprattutto creato l’ennesimo grande trauma. Moltissime persone sono scappate, in alcuni casi da un governatorato all’altro, per esempio da Aleppo a Hama, dove operiamo, cercando riparo nei community shelters, alloggi collettivi, o presso familiari. Hanno perso tutto, sono sotto shock e hanno bisogno di sostegno psicologico. Sono persone che si sono confrontate con oltre un decennio di violenze della guerra, di povertà, questo ennesimo sfollamento ha avuto un impatto devastante sulla loro salute mentale. Tutte le persone che abbiamo incontrato e aiutato erano davvero provate. Nessuno si sente più al sicuro da nessuna parte. C’è poi da dire che quando si verificano questi massicci movimenti di persone alla ricerca di alloggi e soluzioni di fortuna, il rischio di casi di violazioni dei diritti umani, come violenza di genere o esclusione dall’assistenza, aumenta. È importante quindi identificare potenziali rischi ed essere pronti a offrire prima assistenza.

 

Come è organizzato l’intervento di INTERSOS?

 

Il supporto psicologico è una priorità. Stiamo concentrando la nostra risposta principalmente sul primo soccorso psicologico e la presa in carico delle persone più vulnerabili. Cerchiamo di riabilitare i centri comunitari e di riprendere le attività collettive, laddove possibile, per offrire spazi sicuri. E lavoriamo per aprirne di nuovi. Altro aspetto fondamentale è garantire accesso ai servizi sanitari, soprattutto alle persone sfollate che, vivendo in condizioni precarie o al freddo, hanno maggiore urgenza di ricevere cure. Per farlo, ci muoviamo con cliniche e squadre mediche mobili ma lavoriamo anche col Ministero della Salute per supportare le strutture sanitarie, fornendo medicinali e materiale sanitario.

Facciamo distribuzioni di kit di materiali che le persone hanno perso. Distribuiamo kit igienici e dignity kit per donne e ragazze, dai 12 ai 50 anni, che contengono principalmente prodotti per l’igiene mestruale. Distribuiamo anche vestiti caldi fino a quando le temperature non si alzeranno, e diversi prodotti essenziali come coperte, materassi, set da cucina e lampade a coloro che hanno perso tutto e non ha risorse materiali per procurarsi questi beni. Infine, riabilitiamo le scuole, forniamo arredo, materiale scolastico e formiamo insegnanti con cui svolgiamo attività di protezione, usando le scuole come spazi protetti per poter individuare eventuali problemi su cui intervenire col supporto psicosociale e la presa in carico dei bambini più vulnerabili.

 

Secondo te, quali sono le prospettive per la Siria nel prossimo futuro?

 

Per la risposta al terremoto, i donatori hanno mostrato un’attenzione immediata, impegnandosi a donare o donando il 59% dei 400 milioni di dollari di cui la comunità umanitaria ha bisogno. Siamo ancora molto lontani dal raggiungere la cifra che serve per aiutare la popolazione siriana. Alcuni Paesi hanno fatto la loro parte, hanno stanziato fondi e facilitato i rapporti con fornitori e banche per i trasferimenti di denaro, ma sappiamo che dopo i primi tre mesi dall’inizio dell’intervento di risposta all’emergenza potrebbe esserci un periodo molto difficile, quando inizierà la ripresa. Ci sarà un altissimo bisogno di fondi, le scuole e le strutture sanitarie dovranno essere riabilitate e le persone avranno bisogno di sostegno a lungo termine per recuperare un minimo di autosostentamento e un contesto più sereno.