Il nostro staff trasporta a mano razioni di cibo terapeutico nei centri di salute che si trovano nelle zone più isolate

 

 

Della Repubblica Democratica del Congo quest’anno si è parlato più che in passato, in particolare per alcuni eventi: a febbraio l’uccisione dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio, vittima di un agguato da parte di gruppi armati locali. Dopo pochi mesi, a maggio, l’eruzione del vulcano Nyiragongo, a circa 20 km dalla città di Goma, con il conseguente flusso di sfollati e la crescita dei bisogni umanitari. Ma in un contesto costantemente caratterizzato da insicurezza e tensioni tra le comunità locali, soprattutto nelle aree del Sud Kivu e Nord Kivu, c’è un dato allarmante e costante di cui non si parla spesso: la mancanza di cibo. A fronte di una popolazione di circa 89 milioni di persone, una su tre nella Repubblica Democratica del Congo soffre di fame acuta. Sono circa 27,3 milioni le persone che vivono in stato di insicurezza alimentare.*

 

Contrastare l’insicurezza alimentare nel Paese

 

“Dal 2019 INTERSOS sta lottando contro la malnutrizione infantile e quella che colpisce le donne in gravidanza o in allattamento” – racconta Federico Fabietti, capo progetto di INTERSOS nella Repubblica Democratica del Congo. “In collaborazione con altre agenzie internazionali, come PAM, UNICEF, OCHA cerchiamo di far fronte ai bisogni di numeri elevatissimi di persone che soffrono la fame ogni giorno da mesi, anni”. Il lavoro di INTERSOS nel Paese va avanti dal 2009, tra le attività legate alla malnutrizione c’è la distribuzione di pacchi di cibo terapeutico, come il Plumpy’nut, utile per la salute dei soggetti malnutriti. “Le nostre attività sono radicate sul territorio per arrivare più lontano possibile, in località rurali difficili da raggiungere che, altrimenti, resterebbero fuori da qualsiasi intervento umanitario”.

 

Il progetto contro la malnutrizione portato avanti da INTERSOS si rivolge a circa 100 centri di salute raggruppati in cinque zone critiche, dal punto di vista sanitario, della provincia del Sud Kivu. “Un nostro team di professionisti, durante tutta la durata del progetto, si occupa di formare medici e infermieri che lavorano in queste strutture, dove le conoscenze sulla malnutrizione sono ancora molto carenti” afferma Fabietti. “Riuscire a portare avanti questi progetti è una sfida quotidiana, ci sono tantissime difficoltà, da quelle legate alla possibilità di fare formazione nei centri a quelle legate alla distribuzione del cibo. L’insicurezza del territorio è tale da dover fare calcoli giornalieri sugli spostamenti e sulle attività da poter o non poter svolgere nel quotidiano”.

 

Distribuire cibo nelle aree più remote

 

 Per raggiungere i centri più isolati lo staff di INTERSOS, con l’aiuto di volontari, trasporta il cibo a mano, facendo una sorta di staffetta per portare i pacchi alimentari a destinazione. Un percorso a piedi fatto su strade altrimenti inagibili con ogni altro mezzo di trasporto. “Il tragitto a piedi dal centro città può raggiungere anche i 18 km, questo implica che i tempi di arrivo sono decisamente lunghi, perché includono tappe su terreni fangosi e sterrati oltre che pericolosi per la presenza di gruppi armati”. Una volta arrivati avviene lo stoccaggio degli alimenti terapeutici e poi, con il medico di riferimento locale, viene fatta la distribuzione in base a un piano preciso legato ai singoli bisogni personali. I principali destinatari sono donne e bambini, soprattutto i più fragili e quelli al di sotto dei cinque anni.

 

Oggi le cifre relative alla malnutrizione fanno rabbrividire: circa 857 mila sono i bambini malnutriti e 469 mila le donne. In generale la popolazione della Repubblica Democratica del Congo che ha bisogno di assistenza umanitaria ha raggiunto i 19.6 milioni.** “I nostri progetti di salute alimentare e lotta alla malnutrizione coprono circa l’80% del territorio considerato più fragile della provincia del Sud Kivu, una copertura estesa che ci permette di lavorare in zone dove i tassi di malnutrizione sono più elevati” conclude Fabietti.

 

*dati FAO e WFP.

**dati Reliefweb.

 

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