Ascolto, fiducia, confidenza. Il lavoro di Karel Tchakounté, operatrice psicosociale di INTERSOS nell’Estremo Nord del Camerun, è fatto di parole che esprimono calore. Il calore dei legami umani che strappano alla solitudine e curano ferite. “Nel mio lavoro – racconta – incontro ogni tipo di violenza: fisica e psicologica”. La violenza che nasce dalla guerra e dall’esclusione sociale. La violenza legata alla negazione dell’accesso a risorse economiche personali, che rende una donna dipendente e quindi soggetta all’uomo. La violenza dei matrimoni precoci e forzati. “Tutte le donne che incontro hanno bisogno di supporto. Per comprendere i propri diritti, o per ottenere che siano rispettati”.

Germaine è una di queste donne. La prima volta che si incontrano, Karel la ricorda timida, spaventata: “Era triste, non si staccava dal suo bambino, che stringeva al petto”. Germaine che ha perso la mamma quando era ancora bambina, è cresciuta con uno zio, ha incontrato un uomo di cui si è innamorata e “all’inizio tutto sembrava perfetto”. Germaine la cui vita è cambiata quando è rimasta incinta e il suo uomo ha cominciato a insultarla, a picchiarla, fino a cacciarla di casa.

Poco prima di incontrare Karel, Germaine era arrivata a pensare al suo suicidio. Farla finita, per sé e per il suo bambino. È stato lo zio, l’unica persona che le era rimasta vicina, a indirizzarla prima alla responsabile dei servizi sociali di Kousseri, la città del Camerun dove era rifugiata, e di lì all’Espace Sur des Femmes, lo Spazio Sicuro per Donne gestito da INTERSOS.

Karel ascolta Germaine per ore. Lunghe conversazioni in cui la ragazza pian piano si apre, mette a nudo la sua sofferenza, ritrova a poco a poco fiducia e speranza. Grazie all’incontro con gli operatori di INTERSOS, Germaine comprende di avere diritti che non le possono essere negati. Il padre del bambino è un militare, non può sottrarsi al dovere di sostentamento: gli operatori di INTERSOS parlano con i suoi superiori e alla fine l’uomo accetta di versare a Germaine un contributo mensile. Quello che le spetta. Ora Germaine ha ripreso a studiare e sente di potercela fare: ad avere una vita felice, a dare un futuro al suo bambino, a difendersi. Intorno a lei, un gruppo di donne che la fanno sentire più forte.

Certo, non tutte le storie che Karel si trova ad affrontare sono a lieto fine. A volte lo stigma sociale, o la violenza all’interno della famiglia, sono troppo forti. “Ricordo l’incontro con una ragazza giovane, che aveva subito violenza, cercava aiuto. Il fratello glielo ha impedito. Non sono più riuscito a vederla. È una ferita che sento ancora addosso”.

Nonostante i momenti di difficoltà, Karel sente di muoversi nella giusta direzione: “La mia sfida quotidiana è creare legami di fiducia con le donne che assisto, aiutarle a distanziarsi dalla loro vita quotidiana, farle sentire libere di condividere le loro esperienze. Per riuscirci uso la gentilezza, il sorriso e la gentilezza come strumento di lavoro. Fin dal nostro primo contatto”.

In un’area come l’Estremo Nord del Camerun, afflitta dal lungo conflitto con il gruppo armato Boko Haram, come in tanti altri luoghi del mondo, c’è ancora molto da fare per impedire che la violenza e la discriminazione di genere diventino armi di guerra e controllo sociale: “INTERSOS sta aiutando molte donne a comprendere i propri diritti – sottolinea Karel – ma il nostro obiettivo è trasmettere questa consapevolezza, e questa battaglia, all’intera comunità, perché possa assumerne la piena titolarità”.

A Karel, a Germaine, a tutte le donne che lottano per la piena autodeterminazione e il riconoscimento dei propri diritti, INTERSOS dedica questo 8 marzo, Giornata Internazionale della Donna.