Non solo Idomeni. Sono ormai decine i campi profughi che stanno nascendo su tutto il territorio Greco (oltre agli hot-spot presenti sulle isole del Dodecanneso e ormai trasformati centri di detenzione forzata in seguito all’accordo tra Unione Europea e Turchia), strutture profondamente inadeguate nella capacità di accoglienza e nelle dotazioni infrastrutturali che sono chiamate ad ospitare i circa 50mila profughi attualmente bloccati sul territorio ellenico e impossibilitati a muoversi a causa della chiusura delle frontiere.

Nove campi sono stati aperti in questi giorni nella sola area tra Salonicco e la frontiera macedoneracconta Cesare Fermi, responsabile del programma migrazioni di INTERSOSLa nostra organizzazione sta concentrando il suo intervento in quest’area. I nostri operatori hanno iniziato ad operare nei campi più vicini a Salonicco registrando condizioni estremamente preoccupanti: strutture precarie, carenza di acqua e di servizi igienici, necessità urgente di medicinali e di beni primari contro il freddo e le cattive condizioni atmosferiche”.

I numeri della crisi

Sono circa 150mila i profughi arrivati in Grecia da Gennaio 2016. L’anno precedente, nello stesso periodo erano stati meno di 10mila. A seguito della chiusura della frontiera con la Macedonia e dell’accordo tra Unione Europea e Turchia sui respingimenti dei rifugiati in arrivo sulle isole greche, circa 50mila persone sono rimaste bloccate sul territorio greco, dove dovranno restare per un tempo indefinito. Attualmente 12000 persone sono bloccate a Idomeni, tra Grecia e Macedonia, in un campo che dovrebbe ospitarne al massimo 1.500. La situazione nel campo è drammatica, le condizioni igieniche scarse, gli alloggi insufficienti, i servizi primari non bastano. Nuovi campi profughi stanno nascendo lungo tutto l’asse che collega Salonicco, a Policastro e al confine macedone. Il 91% di questi profughi è in fuga da Afghanistan, Iraq e Siria, paesi colpiti da conflitti, e hanno, quindi, diritto, in base alle convenzioni internazionali, allo status di rifugiato. Il 60% per certo sono donne e bambini, in fuga da contesti di conflitto e violenze.

Quanto sta avvenendo in questi giorni è qualcosa che nei paesi dell’Unione Europea non si vedeva da molto molto tempoafferma il direttore di INTERSOS Kostas Moschochoritis e che ci riporta a momenti bui della nostra storia. Con l’accordo appena siglato con la Turchia, fondato sul respingimento di massa dei rifugiati e la militarizzazione delle frontiere marine, i governi europei hanno varcato un limite molto pericoloso, rischiando di fatto la violazione delle convenzioni internazionali sui diritti umani. Una politica che ha già dimostrato di essere fallimentare, perché non si può fermare con i muri chi fugge da guerre terribili. Per questo, come organizzazione umanitaria italiana, accanto al nostro impegno quotidiano sul campo, vogliamo lanciare un appello alla mobilitazione umanitaria, per diffondere la conoscenza di quanto sta avvenendo e moltiplicare i canali di aiuto nei confronti di donne, uomini e bambini che hanno messo in gioco tutto per sfuggire a guerre e violenze”.