Guerre, tensioni etniche, persecuzioni, cambiamenti climatici e carestie: il 20 giugno si celebrano il coraggio e la resilienza con i quali un numero sempre maggiore di persone sono costrette ad abbandonare le loro case, affrontando ostacoli spesso insormontabili, per potersi mettere in salvo insieme alle proprie famiglie.

Quando parliamo di profughi, spesso ci riferiamo infatti a un’entità indistinta, una massa senza volto, la cui consistenza viene espressa in numeri – migliaia o milioni – che nulla ci dicono delle loro reali condizioni di vita, delle loro storie, di cosa pensano e di come trascorrono le loro giornate.

“Per noi di INTERSOS quelli che chiamano profughi sono innanzitutto persone. Ciascuno con un nome, ciascuno con la propria identità e la propria storia da raccontare. Lavorando in prima linea per rispondere ai loro problemi più immediati, giorno dopo giorno scopriamo i loro pensieri, i loro sogni, le loro emozioni” dichiara Kostas Moschochoritis, Segretario Generale di INTERSOS.

Con la campagna #lichiamiamopernome INTERSOS ha scelto di restituire alle migliaia di profughi che assiste un volto e una voce, perché le loro storie diventino storie di donne, uomini e bambini in cui ciascuno di noi possa riconoscersi. Una scelta che è parte integrante del modo di lavorare degli operatori INTERSOS, persone che si prendono cura di altre persone, perché il rispetto della vita e della dignità umana è il primo valore in cui ci riconosciamo.

All’inizio del 2018, 65.6 milioni di persone sono sfollate a causa di conflitti e violenze e 22.5 milioni sono i rifugiati, la metà dei quali sotto i 18 anni di età.

“Ci troviamo in un momento storico nel quale i bisogni umanitari sono ai più alti livelli di sempre. Soprattutto negli ultimi 10 anni il crescente numero di conflitti e la dimensione del loro impatto influenzano profondamente i programmi di assistenza umanitaria. Sappiamo che ci dovremo sempre più confrontare con scenari e scelte difficili, ma siamo un’organizzazione concreta, capace di intervenire in prima linea e a diretto contatto con le popolazioni che si trovano in condizioni di necessità” conclude Moschochoritis.

Come in Camerun, dove aiutiamo a ricongiungersi alle famiglie quei bambini nigeriani che, durante la fuga da Boko Haram verso le aree più sicure al confine con il nord est del Camerun, si sono persi e allontanati dalle proprie madri.

Come in Giordania, dove i rifugiati siriani che abbandonano i campi si ritrovano senza documenti civili e legali e pertanto hanno accesso ridotto ai servizi pubblici e all’assistenza umanitaria.

Come a Palermo, dove un ragazzo del Gambia che è arrivato a sedici anni in Italia e ha ricevuto la Protezione per motivi Umanitari, cerca di continuare gli studi per coronare il sogno di diventare giornalista.

Come in ogni luogo del mondo – dal Sud Sudan allo Yemen, dall’Italia all’Iraq – dove INTERSOS si prende cura di chi fugge da guerre, violenze e oppressione, dedicando sempre un’ attenzione particolare ai più vulnerabili, come donne e bambini.

Per maggiori informazioni

Stefania Donaera – Ufficio Stampa INTERSOS

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