FRUTTI DELLO SFRUTTAMENTO Chi lavora la terra ha diritto a tutele, cure e dignità
Lo sfruttamento lavorativo è un fenomeno nel quale i diritti vengono negati in ogni fase del lavoro, dalla modalità del reclutamento alla regolarità del contratto, dal trasporto alla sicurezza sul lavoro, fino alla dignità dell’alloggio e della retribuzione. Spesso il reclutamento delle persone avviene da parte di un intermediario, il caporale, che, prima che inizi il periodo di raccolta, raduna manodopera per farla lavorare “in nero” o “in grigio” nei campi, senza tutele in termini sicurezza, di riposo e di compenso che è ben lontano dal salario minimo previsto per legge dal contratto collettivo per gli operai agricoli.
Tra la fine degli anni 50 e gli inizi degli anni 60, con il boom economico, le campagne si sono spopolate perché i lavoratori agricoli italiani si sono spostati verso le aree urbane e industriali. Da questo momento la forza lavoro nei campi è stata progressivamente sostituita dalle persone migranti, nella maggior parte confinate in una condizione di isolamento culturale e linguistico.
Oggi, in Italia, nei campi e nelle serre, dietro la produzione agricola che rifornisce i mercati nazionali e internazionali, si nasconde una realtà allarmante: migliaia di lavoratori migranti, provenienti principalmente da Africa occidentale, Nord Africa, Est Europa e Asia meridionale, sono vittime di sfruttamento. Molti di questi lavoratori vivono in condizioni di grave precarietà giuridica, economica, sanitaria e sociale, senza accesso a diritti fondamentali e costretti a lavorare e a vivere in situazioni di estrema vulnerabilità.
Agro-Pontino (Lazio), Borgo Mezzanone (Puglia), Gioia Tauro (Calabria), Campobello di Mazara (Sicilia), Ribera Sicilia), la Fascia Trasformata (Sicilia), sono solo alcune delle aree in Italia interessate dal fenomeno della raccolta agricola stagionale dove, contestualmente, si sviluppa il sistema dello sfruttamento delle persone migranti. Fenomeno che coinvolge diverse filiere produttive, dal pomodoro in Puglia e Basilicata, agli agrumi in Calabria e Sicilia, fino alle olive a Campobello di Mazara e all’ortofrutta nell’Agro Pontino.
Proprio nell’ampio quadro dello sfruttamento lavorativo, si inserisce uno dei fenomeni più caratteristici e ormai ben noti di questo sistema: il caporalato. Ma il sistema di sfruttamento lavorativo non si limita a questo, il caporalato è solo il sintomo di una patologia più complessa. E’ solo un anello di una catena di abusi che nascono anche con il contributo della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) che li determina con le sue forme degenerate di pressione sui produttori per il ribasso dei prezzi.
La grande distribuzione organizzata (GDO), attraverso il controllo dei prezzi e delle condizioni di vendita, comprime i margini degli agricoltori, che spesso non riescono nemmeno a coprire i costi di produzione. Questo meccanismo, ormai consolidato, costringe molte aziende a scaricare la compressione del valore sulla manodopera, trasformandola nella principale leva di risparmio.
I migranti, a causa delle scarse opportunità occupazionali e del loro status irregolare, accettano condizioni di lavoro inique e massacranti, con turni che possono superare le 12 ore giornaliere a fronte di una retribuzione bassissima, che varia tra i 20 e i 30 euro al giorno e che viene spesso decurtata dai caporali per il trasporto nei campi o per l’alloggio in baraccopoli prive di servizi essenziali. Oppure, peggio ancora, i lavoratori vengono pagati a cottimo, modalità di retribuzione che incentiva ancor di più turni disumani e alienanti.
Lo sfruttamento lavorativo dunque si inserisce in una rete di pratiche illecite che non riguardano solo il ruolo del caporale. Molte sono, per esempio, le aziende che appaiono formalmente in regola mentre nei fatti i lavoratori non lo sono. Una delle strategie più diffuse è l’uso di buste paga false, dove sulla carta risultano pagamenti conformi ai contratti nazionali, mentre nella realtà i lavoratori percepiscono una cifra inferiore, con decurtazioni arbitrarie per presunti costi di vitto e alloggio. Spesso i migranti vengono assunti con contratti di poche giornate al mese, mentre lavorano a tempo pieno senza alcuna tutela legale per più mesi. E questo in molti casi si regge anche su meccanismi di ricatto psicologico e di subordinazione dovuti al fatto che i lavoratori dipendono dal datore di lavoro anche per la sistemazione abitativa e i documenti.
Queste dinamiche sono facilitate da una cronica carenza di controlli efficaci e dalla difficoltà di far emergere le violazioni, anche a causa della paura dei lavoratori di perdere il posto, il permesso di soggiorno o la rete minima di sostegno. Le poche ispezioni, le normative ambigue sull’appalto e le responsabilità diluite lungo la filiera rendono difficile attribuire responsabilità chiare, consolidando un sistema in cui lo sfruttamento è funzionale all’attuale modello di produzione agricola.
Le conseguenze di questo sistema di sfruttamento vanno ben oltre le condizioni lavorative e colpiscono direttamente la vita quotidiana dei braccianti. Migliaia di migranti sono costretti a vivere in insediamenti informali, privi di acqua potabile, elettricità, servizi igienici adeguati e accesso a cure mediche, con impatti significativi sulla loro salute. Le patologie legate all’eccessivo carico lavorativo (come le malattie muscolo-scheletriche), alla malnutrizione, alla scarsa igiene e all’esposizione prolungata alle alte temperature nei campi sono purtroppo comuni. Per non parlare dei problemi legati alla salute mentale dovuti sia ai traumi che queste persone hanno subìto nei paesi di origine e durante il lungo viaggio affrontato per arrivare in Italia sia alle condizioni di vita e di lavoro disumane a cui sono costrette adesso. In molti casi, l’accesso alle cure sanitarie è difficile o addirittura negato, principalmente a causa della condizione di vulnerabilità giuridica e sociale dei lavoratori. Le donne migranti, inoltre, sono particolarmente esposte a forme di violenza e sfruttamento, tra cui il rischio di tratta e prostituzione forzata.
Non vogliamo parlare solo di caporalato. Il caporalato è una parte del problema. Lo sfruttamento lavorativo è un fenomeno nel quale i diritti vengono negati in ogni fase del lavoro, dalle modalità di reclutamento alla regolarità del contratto, dal trasporto alla sicurezza sul lavoro, fino alla dignità dell’alloggio e della retribuzione.
Marcello Rossoni – Capo Missione Italia INTERSOS
Un esempio tragico che ha recentemente riacceso i riflettori su questa realtà è la morte di Satnam Singh, un bracciante sikh di 31 anni, avvenuta nell’estate del 2024 nell’Agro Pontino. Dopo un incidente sul lavoro in una serra, invece di ricevere soccorso, Singh è stato abbandonato davanti alla sua abitazione dal datore di lavoro, che temeva conseguenze legali. Questo episodio ha suscitato indignazione a livello nazionale e internazionale, mostrando ancora una volta la brutalità di un sistema che sfrutta la vulnerabilità dei lavoratori migranti e sottolineando l’urgenza di azioni concrete per garantire i diritti e la sicurezza di queste persone.
Tanti altri decessi dovuti alla marginalità, alle condizioni di vita precarie e all’isolamento, sono quelli che noi di INTERSOS abbiamo denunciato negli ultimi anni e continuiamo ogni giorno a testimoniare: persone, anche giovani, che hanno perso la vita a causa di patologie croniche curabili perchè non hanno avuto la possibilità di seguire terapie; persone colte da malori senza avvisaglie che non sempre hanno avuto soccorso immediato; lavoratori vittime di incidenti stradali avvenuti mentre venivano portati a lavoro, stipati in tanti in mezzi troppo piccoli; persone rimaste uccise nelle loro baracche in incendi causati da corto circuiti o da scintille partite dai bracieri.
Cosa chiediamo:
- Rispetto per i diritti dei lavoratori stranieri, garantendo loro un lavoro sicuro.
- Accesso alle cure mediche senza ostacoli burocratici, linguistici, culturali e logistici.
- Soluzioni abitative dignitose. Superare i ghetti non è un’opzione, è un’urgenza: perché vivere in baracche senza acqua, elettricità e servizi igienici non è vita.
- Un lavoro congiunto con le istituzioni e le altre associazioni per raggiungere una effettiva inclusione sociale, abitativa e lavorativa.
- La catena dello sfruttamento lavorativo è innescata anche dalla grande distribuzione che fa pressione sui produttori. Chiediamo quindi a tutti i cittadini, ai consumatori, di fare la spesa con coscienza e consapevolezza: i prezzi troppo bassi dei prodotti sono sinonimo di sfruttamento.
L’intervento di INTERSOS dal 2018 ad oggi negli insediamenti informali nella provincia di Foggia
L’area della Capitanata, nel nord della Puglia, ospita la provincia di Foggia, la terza più estesa d’Italia, con livelli di povertà al di sotto della media delle regioni del Sud. L’agricoltura ricopre un ruolo di primo piano nell’economia della regione, posizionandosi tra i massimi produttori mondiali di pomodoro, il 50% del pomodoro italiano, infatti, proviene dai territori del foggiano.
Con l’intensificarsi delle migrazioni verso l’Europa, l’area ha visto un incremento nel numero dei lavoratori stagionali: secondo i dati IDOS (2024) e FLAI CGIL (2023) la Puglia è una delle regioni con il più alto numero lavoratori agricoli non comunitari, sono quasi 23mila e il 35% di loro si trova nel Foggiano, epicentro del fenomeno della manodopera straniera impiegata nei campi e del suo sfruttamento.
Secondo le stime degli ultimi anni, nell’area della Capitanata sono circa 2000 in inverno e 6.500 in estate le persone costrette a vivere negli insediamenti informali – i cosiddetti ghetti- in condizioni igienico-sanitarie precarie. Questi insediamenti sono fortemente legati a logiche di sfruttamento lavorativo, in cui braccianti stagionali fuori dai circuiti di accoglienza, lavorano in nero senza contratto né tutele. Dal 2018 INTERSOS opera sul territorio del foggiano garantendo un servizio di medicina di prossimità, in alcuni insediamenti informali: l’ex pista aeroportuale di Borgo Mezzanone, Palmori, Borgo San Domenico e i casolari tra Poggio Imperiale e Lesina.
I nostri team, costituiti da personale sanitario, operatrici e operatori sociali e mediatrici e mediatori linguistico-culturali, si occupano di favorire l’inclusione sanitaria di persone vulnerabili, principalmente lavoratori stagionali, grazie a due cliniche mobili attraverso cui raggiungono ogni settimana gli insediamenti per fornire assistenza medica, servizi di orientamento e accompagnamento ai servizi forniti dalle istituzioni territoriali, sessioni di promozione della salute e dell’igiene.
In seguito al protocollo d’intesa stipulato con la ASL di Foggia, dal 2019 l’intervento sociosanitario di INTERSOS si è strutturato in maniera tale da garantire una maggiore fruibilità per le persone assistite, con la predisposizione di corsi di formazione e l’inserimento di mediatori culturali.
L’intervento di INTERSOS negli insediamenti in Sicilia
INTERSOS è attiva dal 2023 nell’area occidentale della Sicilia con interventi a supporto della popolazione migrante impiegata nel lavoro agricolo stagionale. Per due stagioni consecutive (2023–2024 e 2024–2025), le nostre cliniche mobili hanno garantito assistenza socio-sanitaria in due contesti chiave della filiera agricola: l’area di Ribera, in provincia di Agrigento, durante la stagione della raccolta delle arance (indicativamente da novembre a marzo), e quella di Campobello di Mazara, in provincia di Trapani, in occasione della raccolta delle olive (da settembre a novembre circa).
In entrambi i territori, i lavoratori agricoli migranti arrivano su base stagionale, in risposta alla previsione di domanda di lavoro nei campi. Si stabiliscono temporaneamente in insediamenti informali o in strutture abitative abbandonate, dove rimangono per tutta la durata della raccolta. Si tratta di contesti estremamente precari, spesso privi di accesso a servizi essenziali come acqua potabile, elettricità e sistemi fognari.
Dopo lo sgombero del grande ghetto di Campobello di Mazara a maggio del 2023, gli insediamenti non sono scomparsi ma hanno semplicemente cambiato natura: ora sono frammentati e generalmente di dimensioni medie, ospitano in genere tra le 20 e le 100 persone e sono composti esclusivamente da uomini, per la maggior parte provenienti dall’Africa subsahariana e dal Nord Africa. Il profilo anagrafico è molto variegato: si va da giovani appena maggiorenni a uomini over 50, accomunati da condizioni di forte vulnerabilità. Le zone in cui si concentrano questi insediamenti sono spesso periferiche e isolate, difficilmente raggiungibili e sistematicamente escluse dai circuiti dei servizi sanitari locali. Anche le amministrazioni comunali, pur a conoscenza delle condizioni presenti sul territorio, faticano a rispondere in modo strutturato ed efficace anche a causa delle pressioni che arrivano dal sistema produttivo locale. Una parte significativa di questi lavoratori si trova in una condizione di irregolarità giuridica, mentre altri, pur in possesso di un permesso di soggiorno, incontrano ostacoli burocratici che limitano l’accesso ai servizi, come ad esempio la mancanza di residenza anagrafica o la scarsa conoscenza dei propri diritti sanitari.




