Nel mondo 230 milioni di bambini vivono in paesi dove sono in atto dei conflitti, 30 milioni sono i bambini sfollati. Secondo il rapporto 2017 di Unicef nei conflitti odierni i bambini sono diventati obiettivi in prima linea: rapiti, venduti, usati come scudi umani, reclutati per combattere, lasciati a morire di fame, uccisi. Frequente è il caso dei minori non accompagnati o separati dai genitori. Di loro INTERSOS si prende cura, per non lasciarli soli nella vita quotidiana e aiutarli a ritrovare le loro famiglie. Un percorso difficile, che spesso richiede anni, e non sempre ha successo. Una sfida quotidiana per i nostri operatori in prima linea.

Questa è una delle storie di cui ci stiamo occupando in queste settimane.

Siamo nel bacino del Lago Ciad: uno dei conflitti più drammatici e cruenti degli ultimi anni, soprattutto per le conseguenze che ha avuto su donne e bambini, iniziati nel 2009 in Nigeria ad opera del gruppo armato Boko Haram e che ha causato 40.000 morti e migliaia di sfollati diffondendosi anche nei paesi vicini: Niger, Camerun e Ciad.

Quattro paesi, quattro frontiere, così geometriche e innaturali che si incrociano nel cuore dell’Africa e che abbiamo tracciato noi europei secondo i nostri standard occidentali; migliaia di villaggi secondo quelle che sarebbero state le suddivisioni amministrative autoctone, magari più complicate ma che non avrebbero previsto nessun passaporto.

È così che Argifa, di etnia kotoko, nata in Camerun, si è ritrovata sposata con Ahmed, anche lui kotoko, nato in un villaggio a soli 3 chilometri di distanza, ma ufficialmente in un paese straniero: la Nigeria. Dopo il matrimonio Argifa e Ahmed vanno ad abitare in Nigeria. E lì nascono i due figli della coppia, un bambino e una bambina: nigeriani, secondo la legge.

Negli anni seguenti, il conflitto si è intensificato progressivamente fino a quando, nella seconda metà del 2015, Boko Haram è riuscito a occupare gran parte dell’area settentrionale fino a spingersi verso i territori dell’estremo Nord Est, proprio al confine con il Camerun, dove si trovavano Argifa, Ahmed e i bambini. Ahmed è costretto a cercare lavoro lontano da casa e così, durante uno dei periodi di assenza, il villaggio viene attaccato da Boko Haram che lancia bombe incendiarie.

Argifa e i bambini scappano insieme agli altri. Purtroppo vengono intercettati nuovamente dai ribelli che uccidono gli uomini sgozzandoli di fronte a donne e bambini, convinti che comunque chi viene risparmiato, essendo più vulnerabile, morirà lungo il cammino verso la ricerca di un luogo più sicuro. Dopo 10 giorni di fuga, senza bere né mangiare, trovando un po’ di ristoro solo grazie a qualche albero di mango, Argifa, i bimbi e i superstiti del villaggio riescono ad arrivare a Kousséri, in Camerun.

Lì vengono aiutati dalla comunità locale e la mamma comincia a vendere qualche prodotto della terra al mercato per mantenere i bambini. Un giorno (qui la ricostruzione si fa incerta perché sono i bambini a riportare l’accaduto) – non si sa se siano le forze dell’ordine che arrivano a chiedere i documenti e a portare in questura chi non li ha o se sia la mamma che sale volontariamente su un’auto per andare a cercare il marito in Nigeria – la mamma dice ai figli di aspettarla lì al mercato che lei sarà di ritorno quanto prima ma… Passano tre giorni e lei non è ancora tornata.

Una signora anziana, Babanga, che vende anche lei al mercato, li nota e chiede come mai siano soli. I bambini raccontano cosa sia successo, e Babanga dice loro di seguirla e li porta a casa sua a rifocillarsi, prendere dei vestiti puliti e a giocare insieme ai suoi nipoti, per ingannare il tempo in attesa che torni la mamma.

Babanga si rivolge poi a INTERSOS perché possa aiutare i bambini a trovare Argifa. INTERSOS intraprende le ricerche e dopo un anno scopre che in un quartiere vicino a quello di Babanga, la “nonna adottiva”, vive la nonna biologica dei bambini, della quale loro non conoscevano l’esistenza perché la madre aveva litigato con lei prima del matrimonio, alla quale la nonna era contraria.

I bambini sono ormai affezionati alla “nonna adottiva” e soprattutto ai “cuginetti”, mentre la nonna biologica non ha nipoti e da lei si annoiano. Chiedono di restare con la nonna che li ha accolti ma pian piano cominciano ad andare a visitare anche la nonna biologica e a prendere confidenza con lei.

INTERSOS continua a cercare la madre e il padre ma ad oggi di loro nessuna notizia. Inoltre, non esiste nessun loro atto di nascita essendo, secondo il loro racconto e quello della nonna biologica, nigeriani. E, proprio per questo motivo, non possono frequentare le scuole camerunesi senza una richiesta ufficiale da parte di uno dei genitori. Il che, allo stato delle cose, non è possibile.

INTERSOS, grazie anche al supporto di EU Humanitarian Aid, il donatore principale, nell’ambito del suo programma in Camerun e in particolare all’attività di aiuto legale ai rifugiati, sta lavorando perché almeno il diritto all’istruzione per questi bambini sia garantito e possano continuare gli studi per assicurarsi un futuro migliore.

Foto di Cristina Mastrandrea