Alice Silvestro, medico di INTERSOS, da due anni in Puglia al fianco di braccianti agricoli stranieri, da marzo è in Polonia al confine con l’Ucraina

 

 

Ha 29 anni, è piemontese. Dopo alcune esperienze all’estero, tra cui in Etiopia e in Perù, ha cominciato, due anni fa, a lavorare con INTERSOS nella provincia di Foggia per dare assistenza medica ai braccianti agricoli stranieri che vivono negli insediamenti informali. Dai primi di marzo, con lo scoppio della guerra in Ucraina, Alice Silvestro è in Polonia per soccorrere le persone in fuga dai combattimenti. “Ho ricevuto una chiamata il 25 febbraio, appena è cominciata l’invasione russa dell’Ucraina”, racconta. “Ho preparato tutto in poco tempo, ho riempito una zaino con vestiti pesanti e ho lasciato Foggia in pochi giorni”.

 

Alice è al confine polacco con l’Ucraina e lavora in un ex centro commerciale a 2 km dal passaggio di frontiera di Korczowa, dove aiuta i paramedici polacchi. Il centro è diventato in pochi giorni un punto d’accoglienza strategico per le persone arrivate in Polonia, soprattutto donne, bambini, anziani e persone disabili in fuga dalla guerra e di passaggio per raggiungere altre destinazioni.

 

“Il primo impatto alla frontiera mi ha fatto scoprire un volto differente delle migrazioni. Finora per me un rifugiato era una persona vestita con abiti di fortuna e con addosso i segni del percorso migratorio e di lavori logoranti. Qui alla frontiera invece è diverso. Le persone che ho incontrato in Polonia, in particolare quelle arrivate durante le prime settimane, non presentavano evidenti problemi economici o di salute: erano solo persone che dall’oggi al domani hanno dovuto lasciare velocemente la propria vita e la propria casa per trovare rifugio altrove” racconta Alice, e prosegue. “Durante i primi giorni, sono arrivate a Korczowa migliaia di persone. Abbiamo lavorato per dodici ore al giorno visitando tra le 200 e le 300 persone. Non ho quasi mai avuto tempo per realizzare cosa realmente stesse succedendo, tante erano le richieste per un immediato supporto sanitario. Solo dopo alcune settimane, con i flussi in entrata che hanno iniziato a diminuire, ho avuto la possibilità di metabolizzare”.

 

I bisogni di salute delle persone in fuga dall’Ucraina

 

Alice spiega che i bisogni sanitari delle persone in fuga sono tanti e cambiano con il passare del tempo. All’inizio faceva molto freddo e la maggior parte dei pazienti, i bambini soprattutto, arrivavano con influenza e riniti, ora soffrono invece di gastroenteriti, legate ad infezioni contratte durante le giornate vissute nelle cantine e nei rifugi dove spesso le condizioni minime di igiene e la disponibilità d’acqua potabile mancano. “Qui visitiamo anche un grande numero di persone affette da malattie croniche come ipertensione, diabete, ipotiroidismo e asma con manifestazioni acute dovute alla mancata assunzione dei medicinali a causa della fuga, e arrivano anche persone con patologie più gravi, per esempio malati oncologici che necessitano di cure ospedaliere o pazienti in emodialisi e sieropositivi che hanno bisogno di terapie. Non sono mancate ferite causate da esplosioni o da arma da fuoco, ma fortunatamente i casi sono stati pochi” conclude. Con il tempo è cambiato anche il quadro psicologico: nei primi giorni le persone non arrivavano dalle città bombardate e quindi, sebbene sconvolte, non presentavano quei traumi che invece sono aumentati con il passare delle settimane, con persone che arrivano da luoghi colpiti con più violenza dagli attacchi.

 

Anche le persone che vivono negli insediamenti del Foggiano, dove Alice Silvestro lavora tutto l’anno, fuggono da guerre e violenze e sono costrette a lasciare le proprie case. Ma la differenza principale tra gli insediamenti dei braccianti e i centri al confine con l’Ucraina riguarda la natura dei posti. “Questo centro di accoglienza, come anche altri presenti nella zona, sono punti di transito da cui la maggior parte delle persone riesce a ripartire il giorno stesso in cui è arrivata spostandosi in contesti urbani in Polonia o in altri paesi europei dove riescono a trovare una sistemazione dignitosa grazie ad amici e parenti o a reti di associazioni del territorio. La Capitanata, invece, è troppo spesso un punto di arrivo di un percorso migratorio molto più lungo e purtroppo fallito, con persone che in alcuni casi vivono nei cosiddetti “ghetti” anche per più di dieci anni. In questi insediamenti è difficile vedere la speranza nelle parole e negli occhi delle persone, bloccate in una realtà “limbo” piena di ostacoli che ogni giorno impediscono loro di integrarsi dal punto di vista sociale e lavorativo” conclude Alice Silvestro.

 

[gravityform id=”13″ title=”true” description=”true”]