“Stiamo aiutando le persone a rientrare nella città di Goma in sicurezza e con giuristi esperti ci stiamo occupando delle controversie legate alla proprietà delle terre rese irriconoscibili dalla lava”, racconta Gigliola Pantera, l’operatrice di INTERSOS in Repubblica Democratica del Congo in quei giorni

 

 

Nord Kivu, Repubblica Democratica del Congo. Sono passati circa tre mesi dall’eruzione del vulcano Nyiragongo che a fine maggio scorso ha costretto migliaia di persone, per paura di essere travolte dalla lava, a lasciare la città di Goma. I nostri operatori e le nostre operatrici, da subito attivi in soccorso della popolazione in quelle giornate, ricordano ancora la paura per le continue scosse e la confusione, il flusso di gente in viaggio verso Sake, i bambini che in un primo momento si sono trovati divisi dalle proprie famiglie e i bisogni di una popolazione già molto provata dalla povertà, dalla violenza dei gruppi armati e dall’instabilità politica.

 

Gigliola Pantera, che come capo missione di INTERSOS fino a luglio ha gestito l’emergenza di quei giorni, racconta cosa è stato fatto. “Come prima cosa – spiega – ci siamo subito adoperati insieme a UNHCR e ad altri partner locali per identificare i bisogni delle persone durante l’evacuazione, in modo da poter indirizzare l’intervento. In tempo reale – racconta – grazie ai team che erano sul terreno, abbiamo individuato le persone in fuga e quello che serviva nell’immediato. Una fase molto complicata anche per il fatto che la gente di Sake, zona poverissima, non era ben disposta all’accoglienza, con tensioni continue tra i differenti gruppi etnici”. Qui il team di INTERSOS si è occupato principalmente di protezione delle persone sopravvissute a violenza e dei minori soli.

 

Sostegno psicologico e assistenza legale per le persone più vulnerabili

 

“Tuttavia l’intervento maggiore di INTERSOS – sottolinea l’operatrice umanitaria – è stato nella fase di ritorno. Dopo circa una settimana, ritenendo cessato il pericolo, il Governatore nominato in quei giorni, dopo lo stato di assedio, ha deciso che la gente doveva rientrare a Goma. Non tutti però volevano farlo, le persone più vulnerabili e senza casa non avevano interesse a tornare, e allora è stato inviato l’esercito a Sake.  Noi in quel momento, per evitare tensioni e violenze, siamo intervenuti insieme ai nostri partner per sensibilizzare la popolazione sulla necessità di rientrare. Abbiamo fatto assistenza psicologica e psicosociale, abbiamo lavorato per il ricongiungimento dei bambini soli con le famiglie. E abbiamo avviato un progetto di sei mesi (terminerà a dicembre) per gestire le controversie legate alla riappropriazione della terra. In molti casi la colata lavica ha modificato in paesaggio e nascosto i confini delle proprietà. Nella zona colpita dall’eruzione – spiega Gigliola Pantera – da sempre ci sono conflitti tra due gruppi etnici e quindi, al momento del ritorno, a causa della terra contesa, rischiava di esplodere la guerriglia urbana alle porte di Goma. Noi di INTERSOS abbiamo dunque avviato questo progetto di presa in carico giuridica, con giuristi esperti che hanno gestito il ritorno in maniera molto pragmatica, con i documenti alla mano”.

 

Un’ altra azione importante, sempre in questa fase di ritorno, è stata quella di sollevare la questione della pericolosità dei check point: da parte di INTERSOS c’è stata un’azione di advocacy verso le autorità internazionali per garantire la sicurezza ai posti di blocco militari evitando le prevaricazioni verso la popolazione vulnerabile di ritorno verso Goma. “Tutto quello che abbiamo fatto e che il team continua a fare in quell’area è davvero molto utile per garantire una ripresa della quotidianità senza tensioni. Ed è un lavoro possibile soprattutto grazie a una eccezionale equipe nazionale”, conclude Gigliola Pantera.

 

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