Erano sposati da pochissimo Ahmed e Raya, quando la guerra è scoppiata in Siria. Vivevano in una cittadina a poca distanza da Homs, uno degli epicentri del conflitto fin dalla primavera del 2011.

La situazione di sicurezza nel paese stava degenerando rapidamente quando Raya ha scoperto di aspettare il loro primo bambino. Nel frattempo la vita quotidiana era diventata una sfida continua, la corrente mancava per ore, alcuni cibi scarseggiavano al mercato e i prezzi di qualunque prodotto di uso comune erano sempre più alti.
Nonostante la gravidanza di Raya, i due giovani sposi decisero, quindi, di andare via, attraversare il confine e rifarsi una nuova vita in Giordania. Mentre Ahmed lavorava a giornata e Raya si prendeva cura della casa e cresceva la piccola Farah. Come tanti altri siriani, durante quel primo anno di guerra, il fatto che non avessero documenti ufficiali che attestassero la loro condizione di rifugiati non costituiva un vero ostacolo alla permanenza in Giordania.
Poi, con l’aumento del numero di rifugiati la Giordania ha cominciato a introdurre norme severe per gli ingressi. E non avere documenti ha cominciato a significare non avere più accesso ai servizi di base. Primo fra tutti la sanità. Così Raya ha dovuto partorire in casa gli altri due figli che erano arrivati. E nessuno di loro è stato iscritto all’anagrafe.

“Avevo molto paura per Raya e i bambini” ci racconta Ahmed. “non sapevo a chi rivolgermi per regolarizzare la nostra situazione, perché non avrei avuto il denaro sufficiente per pagare una sanzione o per difendermi in tribunale, se qualcuno ci avesse scoperti”.

A inizio marzo il governo giordano ha annunciato l’avvio di un processo di regolarizzazione dei rifugiati siriani, che riguarda anche tutte le persone che hanno lasciato in maniera irregolare i campi profughi prima di luglio 2017.
INTERSOS in questi anni ha lavorato per trovare soluzioni atte a garantire lo status legale dei rifugiati siriani in Giordania, per promuovere una risposta duratura e sostenibile alla crisi dei rifugiati, sia per aprire la strada verso il ritorno ad una vita più normale per coloro che hanno lasciato il loro paese in fuga dalla guerra.
“Dopo aver bussato a tante porte sono stato indirizzato a INTERSOS che ha preso in carico il mio caso” prosegue Ahmed. “Dopo cinque udienze in tribunale sono riuscito ad ottenere un certificato di matrimonio valido per me e Raya e i certificati di nascita per i bambini, che almeno adesso posso ricevere cure sanitarie, se ne hanno bisogno, e presto Farah potrà frequentare la scuola.

La storia di Raya, Ahmed e la loro piccola famiglia è una delle tante testimonianze di rifugiati siriani in Giordania che il fotografo italiano Alessio Cupelli e la produttrice Katia Marinelli hanno raccolto per il progetto multimediale RELOCATED IDENTITIES, realizzato da INTERSOS e finanziato dal Dipartimento per la protezione civile e gli aiuti umanitari della Commissione europea (ECHO), che mira a documentare le esperienze personali di uomini, donne e bambini che lottano per salvaguardare la propria identità di esseri umani e proteggere i propri diritti e la propria libertà.