È allarme nel Nord-Est del Paese, più di 60 morti e 20mila persone in fuga. A rischio le attività di aiuto alla popolazione più vulnerabile

 

 

Continua l’ondata di violenza che, nelle ultime settimane, ha colpito diverse aree nell’Est della Repubblica Democratica del Congo, causando la fuga di migliaia di famiglie dalle proprie case e costringendo alcune organizzazioni umanitarie a sospendere le attività di aiuto alle persone più vulnerabili. Dalla seconda metà di novembre, la provincia dell’Ituri, nel Nord-Est del Paese, è stata teatro di gravi attacchi, in particolare le aree di Drodro e Tché, durante i quali più di 60 civili, tra cui anche 9 bambini, sono rimasti uccisi e più di 2mila abitazioni sono andate distrutte. Circa 20mila persone sono attualmente in fuga.

 

 “La situazione nell’Est del Paese è molto grave: i continui attacchi ai civili, spesso alimentati da conflitti intracomunitari, causano continui spostamenti di persone e famiglie estremamente vulnerabili, in un periodo in cui il Paese è già colpito da una delle più gravi crisi di insicurezza alimentare degli ultimi anni”, così descrive l’allarmante situazione Marcello Rossoni, Direttore Regionale di INTERSOS per l’Africa centrale e orientale. 

 

Durante gli scontri, INTERSOS, che è attiva da anni nell’Est della Repubblica Democratica del Congo, è stata costretta a sospendere temporaneamente le attività in supporto alla popolazione vulnerabile in Ituri ed in Sud Kivu, e a facilitare l’evacuazione di alcuni membri del proprio staff di terreno per garantirne l’incolumità. “Noi di INTERSOS, nonostante le difficoltà date dall’insicurezza delle ultime settimane, stiamo cercando di tornare ad assicurare supporto e aiuto in prima linea in tutte le aree dove l’accesso umanitario è molto difficile e le condizioni di sicurezza per il nostro staff sono minime” racconta Rossoni. 

 

I bisogni umanitari nel Paese rischiano di aggravarsi ancora di più: una ulteriore sospensione delle attività di protezione, distribuzione di beni alimentari e di facilitazione dell’accesso ai servizi di salute potrebbe rendere ancora più drammatiche le condizioni di vita dei circa 1,5 milioni di sfollati interni nel solo Ituri, la cui metà è composta da minori.

 

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