Quasi mai nel mio lavoro mi capita di piangere, ma stavolta non ho potuto resistere. Ho pianto di gioia quando mi hanno detto che la mamma e la bambina erano vive, che erano uscite dall’ospedale sulle loro gambe. Non pensavo potesse succedere.

Quando le avevo viste la prima volta, la sera prima, la mamma era in stato d’incoscienza, febbre altissima, nessuna reazione agli stimoli. La bambina, sepolta in un fagotto di stracci, non si muoveva. Morte entrambe, ho pensato, siamo arrivati troppo tardi. Poi ho visto che quel mucchietto inanimato iniziava a muoversi, a scalciare. L’ho presa e piangeva. Stanca, affamata, ma viva.

La mamma era arrivata nel pomeriggio al nostro centro di salute primaria a Magumeri, nel nord est della Nigeria, da un villaggio molto distante, non raggiunto dagli aiuti umanitari. Per tutta la gravidanza non aveva visto un medico. Per arrivare al nostro centro aveva affrontato quattro ore di viaggio su una strada sterrata, svenuta su un materasso buttato sul retro di un pick-up.

È solo un’adolescente, una ragazza di 15 anni. Sono stata chiamata d’urgenza e l’ostetrica mi ha spiegato che aveva appena partorito. Aveva la pressione molto alta, febbre quasi a 40 e aveva perso molto sangue durante il parto, dopo un travaglio durato quasi un giorno intero (un caso di placenta previa, che in un paese come l’Italia sarebbe tratto nel reparto specializzato di un ospedale).

Il rischio di setticemia era altissimo. Siamo subito intervenuti con flebo, antibiotici e antipiretici per stabilizzarla. Poi ci siamo rivolti alla bambina. Nessuno, da quando era nata, si era occupato di lei. Non era stata neanche lavata.

Ho pensato che in quel momento fosse importante ristabilire un contatto, il legame più naturale del mondo. Ho preso la bambina e l’ho avvicinata al seno della mamma, per quanto incosciente, ancora viva. Ci siamo resi conto di quanta fame avesse e di quanto l’istinto di sopravvivenza sia prepotente. La bambina si è attaccata subito, succhiando avidamente.

Dopo aver prestato tutte le cure necessarie a entrambe, a sera, le abbiamo lasciate così. Sapevamo di aver salvato la bambina, ma per la mamma avevamo poche speranze.

E, invece, quella notte ci ha regalato una splendida sorpresa.

La mattina dopo, molto presto, ho ricevuto una telefonata dal centro di Magumeri. La mamma si era svegliata, era già in piedi con la figlia in braccio e voleva andare a casa. Non l’ho più rivista, ma ho segnato il suo nome tra i miei ricordi: Amina.

Come Amina e sua figlia, ogni giorno migliaia di mamme e di neonati rischiano la morte nello stato del Borno, nel Nord-est della Nigeria, vicino al confine con Camerun e Ciad. Il lungo conflitto con il gruppo armato Boko Haram ha messo in ginocchio il sistema sanitario locale: la maggioranza delle infrastrutture mediche sono distrutte e i medici, nel corso degli scontri, sono riparati in altre zone del paese.

Il tasso di mortalità materno – infantile è fra i più alti al mondo: 260 bambini ogni 1000 muoiono prima di compire 5 anni (in Italia 6 su mille): nove su 10 di queste morti sarebbero evitabili con appropriata assistenza medica; 1549 donne su 100mila muoiono per complicazioni legate alla gravidanza o al parto (in Italia 4 su 100mila)

L’accesso alle cure mediche è garantito esclusivamente dalla presenza delle organizzazioni umanitarie che, come INTERSOS, hanno preso in carico, riabilitato o costruito ex novo le infrastrutture mediche, hanno riavviato i servizi e stanno formando una nuova ‘generazione’ di medici locali.

In questo momento il programma di Salute Primaria di INTERSOS in Nigeria serve oltre 100mila persone, che altrimenti non avrebbero accesso a nessun tipo di assistenza medica.

In particolare supporta 5 centri di salute primaria a Gamboru – Ngala, Bama e Dikwa, Magumeri e Gajiganna. Una clinica mobile raggiunge 7 posti di assistenza medica nelle zone più isolate della LGA (Local Government Area) di Magumeri

Circa 2mila visite mediche vengono effettuate ogni settimana nei nostri centri, con un focus speciale dedicato alla Salute Riproduttiva e alla Salute Materno – Infantile.