Essere bambini nel paese più giovane del mondo può far sentire addosso grandi responsabilità; dalle nuove generazioni ci si aspetta un cambiamento per un futuro migliore, soprattutto se quella è una popolazione che ha conosciuto solo la costante del conflitto e povertà.

Se però questo paese è il Sud Sudan, nato dalla dichiarazione di indipendenza nel 2011, diventa difficile anche essere un bambino o una bambina.

Il Sud Sudan non ha mai conosciuto una pace stabile. Prima il lunghissimo conflitto per ottenere autonomia dal Sudan, poi, all’indomani dell’indipendenza dal Sudan, proclamata nel 2011, lo scoppio, nel 2013, di un nuovo conflitto interno, ancora irrisolto, nonostante la firma di un cessate il fuoco avvenuto lo scorso anno ma che sembra non aver placato esecuzioni sommarie, raid di gruppi armati e violenze di massa.

Le principali vittime di questo complesso contesto sono i civili. Povertà, costante esposizione ad abusi, assenza di servizi e infrastrutture e migrazioni in massa di persone sono le conseguenze di questo perdurante stato di violenza. Più di 2,3 milioni di sud sudanesi vivono attualmente come rifugiati nei Paesi limitrofi, mentre 1,9 milioni sono sfollati all’interno del Paese.

La distruzione della guerra colpisce ogni cosa: case, ospedali, scuole. Così, quando arriva settembre e per i bambini in ogni parte del mondo ricominciano le lezioni, in Sud Sudan poter tornare tra i banchi è tutt’altro che scontato.

Samiah ha solo 13 anni e fino al 2015 ha vissuto con la sua famiglia a Leer, località nel nord del Paese. Mentre il padre cercava di mantenere tutti allevando qualche capo di bestiame, la madre si occupava di un piccolo orto vicino a casa. In quei mesi, il nuovo conflitto interno si faceva sempre più intenso così come le sue conseguenze sociali ed economiche su una popolazione già affaticata da anni di instabilità.

Per Samiah e la sua famiglia le condizioni di sicurezza stavano diventando preoccupanti, non era più possibile restare. Decisero quindi di spostarsi nella contea meridionale di Mayiandit. Questo continuo spostarsi e doversi occupare della famiglia ha costretto Samiah ad abbandonare i suoi studi, per lungo tempo non ha più letto un libro, scritto il suo nome, imparato un concetto nuovo.

Un giorno poi, durante una ricognizione della zona da parte degli operatori di INTERSOS, Samiah viene a conoscenza dell’esistenza di un campo scuola dove avrebbe potuto seguire dei corsi per verificare il suo livello di apprendimento ed essere poi reinserita in un corso di studi regolare. Dopo tre anni vissuti nel terrore della guerra, Samiah ha ripreso a studiare.

La sua storia è anche la storia di molte altre bambine e bambini sud sudanesi, strappati dal loro percorso scolastico, da un’educazione rimasta vittima del conflitto che minaccia di far perdere per sempre il loro diritto allo studio. Uno strappo che con l’aiuto di INTERSOS è stato possibile ricucire proprio grazie all’allestimento di centri dediti all’istruzione.

Operativa nel paese dal 2006, INTERSOS nel 2018 ha garantito l’accesso l’accesso all’istruzione più di 7mila minori

Secondo l’UNESCO in Sud Sudan c’è uno dei tassi di analfabetismo più alti al mondo. I continui e prolungati scontri, lotte politiche e guerre civili hanno avuto un impatto devastante sull’istruzione. La guerra ha interrotto l’educazione di migliaia di bambini in età scolare. Le scuole sono state distrutte e danneggiate durante il conflitto durato più di cinque anni.

I bambini, in particolare i ragazzi, sono stati sottoposti a reclutamento forzato da parte di gruppi armati mentre le ragazze sono state sottoposte a matrimonio precoce e forzato.

Il sistema primario conta un eccesso di 1,3 milioni di bambini non iscritti o impossibilitati ad accedere a un’istruzione formale, a questo si aggiunge la carenza di personale qualificato, insegnanti, libri di testo e materiali di consumo.

Il rapporto tra insegnanti e studenti è allarmante, pari a 1:88 per la scuola elementare e 1:44 per quelle secondarie. Solo il 12% degli insegnanti sono donne, consolidando così la già radicata disuguaglianza di genere.

Sono sempre i numeri a dare lettura reale delle condizioni di vita delle persone e tra questi il 42,4% si riferisce al numero di scuole secondarie che non ha accesso all’acqua potabile; il 29,0% è senza accesso alle latrine; il 78,8% è senza elettricità; e il 95,9% fuori da qualsiasi area comprensiva di un centro sanitario.

Se il futuro di un paese si misura sullo stato di benessere dei bambini, il più importante capitale umano, occorre far si che la scuola non muoia mai perché potrebbe far realizzare il sogno di Samiah ed è lei stessa a ribadirlo: “Da grande vorrei diventare medico e lavorare qui nell’ospedale di Leer, la mia città.”